Esordio breve ma intenso e incisivo quello del salernitano Antonio Calabrese.
Calabrese, classe 2001, manda alle stampe questo suo primo lavoro, un EP composto da quattro canzoni per poco più di quindici minuti di ottima musica, che davvero lascia intravedere le sue grandi potenzialità.
Le canzoni che compongono I DENTI DI LEONE si collocano tra il cantautorato puro e la via del folk più classico, con strumentazione per lo più acustica, essenziale ma incisiva, e testi figli di una raffinata penna che si lasciano ascoltare e riascoltare davvero con piacere.
L'EP si apre proprio con la canzone che titola l'intero lavoro: I DENTI DI LEONE. Le riflessioni intime e profonde di Calabrese prendono qui la forma proprio di quei "denti di leone", fiori che, alla fine della loro splendida esistenza colorata si tramutano in soffici soffioni che il vento porta via. La poesia è proprio nelle corde di questo ragazzo che davvero emoziona sin da questo primo ascolto. Versi davvero ispirati dalla bellezza del creato che va, giustamente, preservato.
LA MERAVIGLIA si apre con un intrigante intro di chitarra e la sua funzione è quella di celebrare le bellezze del creato qui sintetizzate nelle tre categorie, flora, fauna e genere umano. E' una sorta di "cantico delle creature" che l'artista salernitano ricama nei testi e nella musica in maniera magistrale.
UMANA UMANITA' canzone con la quale Calabrese ha recentemente vinto il Premio Cesare Filangieri, è una canzone di forte denuncia sociale. Il genere umano viene qui messo di fronte al suo fallimento, che si concretizza in buona sostanza nell'incapacità di difendere i diritti umani, i diritti basilari che dovrebbero regolare la vita di ognuno di noi. Brano dal forte impatto emotivo e, giustamente premiato, per la sua forza espressiva.
A chiudere questo splendido EP c'è il brano YA'ABURNEE che è una parola araba che non ha traduzione letterale in italiano ma che, in amore, ha il significato di "vorrei morire prima di te, perché non posso vivere senza di te".
Registrato e mixato da Lucio Auciello oltre alla voce, chitarra e piano a cura di Calabrese il suono splendido di queste canzoni è da condividere con Mario Petacca al violino, Valentino Milo Basso al violoncello, lo stesso Auciello alle chitarre elettriche, Giovanni Caiazza alla batteria, Alessandro Ferrentino ai tamburi a cornice, Pietro Avallone all'oboe, Michelangelo Bencivenga al banjo, Giulia Romina Pagano, Francesca Rossi, Giuseppe Rossi, Mario Petacca, e ancora Auciello ai cori per finire con Davide Barbarulo che si è occupato del mastering e Microdrammi che ha curato l'artwork dell'Ep.
Una bella squadra, insomma, che ha contribuito ad esaltare e valorizzare le innate doti cantautorali e artistiche di Antonio Calabrese che, sono sicuro, ritornerà sulle pagine di questo blog in futuro.
Sintetizzando il tutto, in due parole: Esordio Magistrale.
A santificare, per l'eternità, questo ALASKA BABY, ottavo album di Cesare Cremonini in studio, basterebbe la straordinaria SAN LUCA , canzone scritta con estrema perizia dal nostro, e cantata in coppia con un altro stupendo bolognese, Luca Carboni.
Una canzone di splendida bellezza. Un pezzo straordinario che già ho eletto a mia canzone dell'anno 2024 e che è arrivata proprio sul filo di lana prima della chiusura dell'anno.
Quando l'ho sentita la prima volta mi si è accapponata la pelle. Tanta la bellezza di questi versi e di queste due voci, dei sentimenti di questi amici. Se devo dire la verità, ho sempre amato (tanto) Luca Carboni mentre per Cremonini ho nutrito una lontana simpatia, in questo blog testimoniata dalla recensione del suo THE BEST OF 2C2C riconoscendogli pur sempre, e comunque, un impatto "sonoro" storico sui tempi della mia "meglio gioventù" in quel primo album coi Lunapop, di per sé indimenticabile.
L'esperienza di ascolto di ALASKA BABY è un gran bel tuffo nel pieno di quell'epoca lì, tra la metà e la fine dei mitici anni novanta. Pura poesia di "nostalgia canaglia" là dove nell'incrocio più nobile delle strade degli artisti, si incontrano il pop e la più classica canzone d'autore made in Italy. Un disco davvero con reminescenze di quel lontano tempo passato.
E se ho già detto che la sola SAN LUCA varrebbe appieno il prezzo dell'album, nelle altre undici canzoni del disco si nascondono gioielli davvero preziosi come UNA POESIA, ballata dolcissima e davvero molto ispirata, così come si fanno ricordare ORA CHE NON HO PIU' TE, e il brano di apertura ALASKA BABY che titola il disco e nel testo della quale Cremonini cita uno degli Amori (anche "musicali") più storici e nobili del pianeta conosciuto, quello tra Johnny Cash e la sua June Carter, guadagnando, dal mio punto di vista 100 punti là dove questa storia d'amore ritornerà sempre eterna anche in questi versi.
Risplende di luce propria anche AURORE BOREALI cantata a due voci con Elisa, così come la stessa voce della cantautrice ai cori rende straordinaria la resa del brano RAGAZZE FACILI.
C'è poi la stella statunitense Mike Garson al piano in DARK ROOM brano dall'andamento lento e soffuso dal discreto fascino, e menzione anche per UN'ALBA ROSA, e IL MIO CUORE E' GIA' TUO brano nel quale a collaborare con Cremonini sono i Meduza.
Più movimentate sono le canzoni STREAMING e LIMONI mentre la chiusura del disco è affidata al brano ACROBATI che è un altro brano decisamente accattivante ancora con Garson al piano insieme allo stesso Cremonini.
Al tirar delle somme che dire, se non Grazie Signor Cremonini: questo duetto con Luca Carboni a celebrare il santuario di SAN LUCA, icona propria della vostra Bologna, è diventato come una stella cometa.
Mi avete riportato indietro di quei buoni trent'anni che dividono una vita intera.
Splende, e splenderà per sempre, nella mia esperienza di ascoltatore.
Sei anni dopo VIANDANTI, il suo disco d'esordio, il cantautore calabrese (ma fiorentino di adozione) Tommaso Talarico ritorna con un nuovo disco di inediti dal suggestivo titolo di CANZONI D'AMORE PER UN PAESE IN GUERRA.
Non cambia la formula, che vede Talarico collaborare con quella che io ho ormai denominato "la truppa toscana", formata dal Maestro Gianfilippo Boni alle tastiere e rhodes (oltre che alla produzione artistica e arrangiamenti insieme allo stesso Talarico), Fabrizio Morganti alla batteria, Lorenzo Forti al basso, con l'ausilio di Matteo Urro alle chitarre e la splendida voce di Marilena Catapano ospite in diversi brani.
CANZONI D'AMORE PER UN PAESE IN GUERRA è stato registrato in presa diretta da Fabrizio Simoncioni e contiene nove composizioni scritte e musicate da Talarico con estrema perizia.
Si nota, rispetto al disco d'esordio, una ricerca di liriche più "mature".
Il tempo scorre inesorabile per tutti, e in questi anni che sono passati dal disco d'esordio, il mondo è anche molto cambiato, in peggio. Talarico si fa "cronista" di questi cambiamenti e raccoglie in queste sue canzoni i sentimenti di chi deve convivere con i drammi della guerra e della migrazione.
Testi decisamente coinvolgenti sin dall'iniziale PREVISIONI DEL TEMPO con l'intro affidato all'Inno alla Gioia suonato al piano da Gianfilippo Boni con una voce dal passato, quella del poeta Filippo Tommaso Marinetti dal lontano 1909.
Il brano E' MIA FIGLIA narra dell'odissea della vita di chi sfugge da guerre e miserie.
Ma è nel terzo brano, IL GIORNO PRIMA DI PARTIRE che si compie il Capolavoro di Talarico. Questa canzone, che nasce da riflessioni nostalgiche del suo passato nella terra natia è la "Storia di Una Vita". Brano di celestiale delicatezza che il controcanto di Marilena Catapano rende magico. Strepitosa.
RESPIRA è un brano di matrice molto, ma molto rock. Una serie di riflessioni sul nostro correre sempre dietro a impegni e cose. E quindi un invito a fermarsi e a respirare ... come suggeriva il grande Wim Hof ... l'Uomo Ghiaccio. Respira ... e riprendi a vivere con un ritmo più umano. Suggestiva.
Talarico dedica poi un pezzo alla celebre scomparsa di Ettore Majorana nel brano MAJORANA. Un pezzo di Storia che viene riaperto per riallacciarlo alla seconda guerra mondiale e alla bomba atomica. Una ottima lezione di Storia.
LA TUA PAURA è un brano che affronta il tema della "costruzione del nemico" che nasce in un epoca dove è molto facile sentirsi traditi dal mondo che ci circonda. Magistrale.
GHINA si apre con gli splendidi versi di un poeta palestinese, Mahmud Darwish e la canzone narra della storia di una bambina libanese che vittima della guerra era in cura all'ospedale di Bologna nel lontano 1983. Tratta da ricordi di prima mano di Talarico questa canzone è un altro apice di questo lavoro. Brano toccante e delicato.
DIARIO DEI GIORNI SENZ'ARIA è un viaggio nella condizione umana con riflessioni che, da personali, si fanno universali nel modo "giusto" di intendere la voglia di conoscenza e di esperienza che debbono essere proprie di una vita vissuta "a piene mani".
A chiusura dell'album c'è una "preghiera finale" LA TREGUA nel racconto dell'incontro tra due amanti durante una guerra. In un piccolo spazio di tregua i due si incontrano in un mondo che è cambiato, non è più come prima. Splendida metafora di un mondo che sta andando in rovina.
Queste canzoni di Tommaso Talarico compongono, infine, un autentico concept-album che racconta di una umanità che va avanti, nonostante tutto, tra rovine, guerre e macerie, miserie umane e sofferenza. Il tutto è ben sintetizzato dall'immagine di copertina che è opera dello stesso Talarico.
Un disco di "Storie". Un frammento del viaggio nell'epoca moderna.
Con amarezza ma, in fondo, anche con una piccola speranza viva almeno, prima dell'alba.
Con SCRAMPS AT MIDNIGHT, anno di grazia 1998, terzo album della sua carriera da solista, il leader degli SCREAMING TREES Mark Lanegan, esponente della scena grunge americana dei primi anni 90, porta a compimento una "triade iniziale" di lavori che è davvero qualcosa di strepitoso uscendo tuttavia dal territorio proprio del grunge per proporre, piuttosto, un solido lavoro di rock venato di folk e blues con suoni talora acustici talora con pesanti contaminazioni elettroniche.
Nell'album del suo debutto solista, THE WINDING SHEET del 1990, Lanegan, con l'aiuto del membro dei Dinosaur Jr Mike Johnson e il contributo alla voce di Kurt Cobain in due pezzi mette subito insieme una serie di pezzi da novanta che vengono acclamati da critica e pubblico.
Il successivo WHISKEY FOR THE HOLY GHOST prosegue sulla scia del primo lavoro, tra canzoni con suoni cupi e interpretate da Lanegan con voce sofferente e graffiante che conferma, di fatto, la qualità dell'esordio.
SCRAMPS AT MIDNIGHT riprende le atmosfere scure e spettrali dei precedenti lavori e, se possibile, le amplifica ulteriormente in una sorta di "grande sofferenza spirituale" che tracima in brani dall'impasto folk-blues con forti venature di country il tutto condiviso con suoni che talora vengono distorti al limite come nel caso del brano BECAUSE OF THIS.
Lasciano d'incanto ballate come BELLS BLACK OCEAN, intensa preghiera d'amore. Così come è splendida LAST ONE IN THE WORLD altra immensa ballata che lascia dentro un senso di profonda inquietudine, di cose interrotte, di consapevolezze legate alla perdita di legami. Struggente.
Notevoli anche le liriche di WHEELS, PRAYING GROUND e WAITING ON A TRAIN.
C'è sempre Mike Johnson a fianco di Lanegan anche in questo lavoro, sia come co-produttore dello stesso con Lanegan sia come musicista. Ospite al piano in WHEELS anche J. Mascis leader dei Dinosaur Jr.
E' un disco di bellezza disarmante SCRAPS AT MIDNIGHT.
Quarto album della cantautrice americana Michelle Shocked questo ARKANSAS TRAVELER arrivò ad incrociare la mia strada in un tardo pomeriggio del mese di agosto del 1991 mentre, a Bormio, seduto fuori da casa dei miei zii, in compagnia di mia nonna Zita stavo sfogliando un giornale che ne riportava una prima breve recensione.
Il disco sarebbe uscito solo con l'inizio dell'autunno ma, in quel pomeriggio bormiense di cara memoria, già avevo deciso che quello sarebbe stato il mio prossimo acquisto musicale che avrebbe segnato il passo della memoria "musicale" di quel tempo lì.
E così fu.
Un album di canzoni tra folk e country, mischiando e ri-arrangiando vecchi classici del folk americano (dimenticati dai più). Così Michelle Shocked mise insieme, in quel lontano 1991, quattordici piccole gemme avvalendosi anche della partecipazione di ospiti di primo livello come testimoniato dalle collaborazioni con THE BAND nel brano SECRET TO A LONG LIFE, oppure con gli Uncle Tupelo nel brano SHAKING HANDS (rifacimento del classico SOLDIER'S JOY), o ancora con Taj Majal in JUMP JIM CROW e ancora con Norman Blake in BLACKBERRY BLOSSOM e poi con Allison Krauss in PRODIGAL DAUGHTER (rifacimento del classico COTTON EYED GIRL), e ancora STRAWBERRY JAM con Doc. Watson e Jerry Douglas solo per citare i nomi più famosi.
Un disco di splendente musica alternative-folk dove chitarre, violini, mandolini, bozouki, piano, accordion e un parco uso della batteria stendono un tappeto sonoro da 10 e lode per un risultato finale davvero da applausi.
E' un disco, chiaramente, che il tempo ha portato dentro il dimenticatoio ma che, a parere mio, chi non ha mai avuto la fortuna di ascoltare dovrebbe recuperare.
La prima cosa che ho pensato, una volta avuto tra le mani questo album, è stato: chissà cosa ne avrebbe scritto Paolo Carù sulle pagine del "suo" Buscadero ?
Lui, un amante di Cash, che ha seguito nell'arco di tutta la pluriennale carriera, cosa avrebbe pensato di questo nuovo disco di inediti ?
Il fatto che Cash sia scomparso ormai da quasi 21 anni e noi si sia qui ancora a parlare di lui e della sua musica depone a favore di questa immensa icona del cantautorato made in USA.
SONGWRITER non è il primo album postumo di Cash.
Nel 2006 uscì AMERICAN V, nel 2010 AMERICAN VI e nel 2014 OUT AMONG THE STARS album, quest'ultimo, che ritengo personalmente decisamente al di sotto della media dei precedenti.
Così c'era grande curiosità per ascoltare queste 11 nuove canzoni che il figlio John Carter Cash ha ritrovato.
Canzoni registrate nel lontano 1993, in origine, per sola chitarra e voce, il lavoro di John Carter Cash con l'ausilio dell'ingegnere del suono David Ferguson, è stato quello di ri-arrangiare questi brani (già di ottimo valore) con le chitarre di Marty Stuart, il basso di Dave Roe e le percussioni di Pete Abbott ricamando il tutto con interventi di ospiti di prim'ordine come Vince Gill, Dan Auerbach e Waylon Jennings giusto per citare i più conosciuti.
Alla fine di questo certosino lavoro di restauro ci si ritrova tra le mani uno splendido disco con 11 canzoni per poco più di 30 minuti di Pura Musica made in USA.
E se, all'inizio, si poteva anche pensare (male) ad una semplice opera di "mercato" ecco che ritrovare queste undici perle di uno dei Giganti tra i Cantautori mai esistiti ci riporta indietro nel tempo a scoprire che per poter andare avanti abbiamo ancora un gran bisogno dell'Arte, Vera, Pura, di gente come Cash, il Leggendario "Man in Black".
Così suonano splendide in quest'estate di Grazia 2024 le note di canzoni come HELLO OUT THERE, SPOTLIGHT, DRIVE ON, l'immancabile boom-chicka-boom (marchio di Cash) qui rappresentata degnamente dal pezzo WELL ALLRIGHT, e POOR VALLEY GIRL e altre ballate splendide come I LOVE YOU TONITE, HAVE YOU EVER BEEN TO LITTLE ROCK?, THE SANG SWEET BABY JAMES, e ancora canzoni che hanno la matrice propria del "nostro" SOLDIER BOY e SING IT PRETTY SUE per chiudere con LIKE A SOLDIER.
Un disco che si ascolta e riascolta davvero con piacere. Grande Piacere.
Lo stesso preciso piacere che si prova a ritrovare, dopo tanto tempo, un vecchio amico.
Uno in compagnia del quale si è attraversato anche un solo pezzo del cammino di questo viaggio che chiamiamo vita.
La Leggenda di Cash continua. Sempre.
P.S. Segnalo infine che l'album in versione cd è disponibile anche in versione doppia con un secondo dischetto titolato "Icon" che riporta dodici canzoni tra classici di Cash e cover d'autore che, per quanto possa essere considerato un validissimo contributo alla causa, nulla aggiunge alla Pura e Cristallina bellezza delle 11 canzoni originali di SONGWRITER.
(JOHNNY CASH - HELLO OUT THERE)
(JOHNNY CASH - HAVE YOU EVER BEEN TO LITTLE ROCK ?)
SOGNO RIBELLE fu il primo "best-of" pubblicato dalla band fiorentina dei LITFIBA.
Questa raccolta uscì nella primavera del 1992 e, ricordo, accompagnò tutta la "mia" stagione primavera/estate di quell'anno, raggiunto (o appena preceduto) poi da ottimi "compagni di viaggio" come 883 e Luca Carboni, Tori Amos, R.E.M. (per citarne solo alcuni che mandarono alle stampe in quell'anno lavori più che ottimi).
La band toscana rivisitò, in questo album, gran parte del suo repertorio degli anni ottanta virandolo al nuovo sound decisamente più rock, molto simile al sound dell'allora loro ultimo album in studio EL DIABLO del 1990.
In buona sostanza veniva rivisitata la "trilogia del potere", cioè la serie dei tre album (DESAPARECIDO, 17 RE e LITFIBA 3) che già, comunque, non aveva niente da invidiare alle produzioni rock che arrivavano da oltreoceano checché ne dicano e scrivano i "critic-onzi".
Alcune canzoni furono rimixate, altre furono proprio prodotte in una nuova versione.
Mi "appoggiai" dapprima alla versione in musicassetta salvo poi dover virare sul formato cd in quanto l'abuso del nastro ne aveva compromesso in breve l'efficienza.
Indipendentemente dal formato, le 13 tracce di quel disco suonavano "splendenti", allora come ora, trentadue anni dopo.
Apriva l'inedito LINEA D'OMBRA e poi via una carrellata di adrenalina pura da CORRI a PROIBITO da BAMBINO a EROI NEL VENTO, da CANGACEIRO all'immancabile TEX, e via con APAPAIA, ISTANBUL, PANAME, EL DIABLO, CI SEI SOLO TU per chiudere con CANE.
Una scaletta stratosferica tramite la quale Pelù e Renzulli hanno consegnato alla storia uno dei loro lavori più straordinari dell'intera produzione "originale".
Tuttora, a mio parere, SOGNO RIBELLE resta la migliore raccolta delle band che, ad ogni modo, avrebbe prodotto successivamente album altrettanto validi come il successivo TERREMOTO (1993), SPIRITO (1994) o MONDI SOMMERSI (1997).
Un disco registrato nei boschi, in una non meglio precisata località degli Stati Uniti nell'autunno del 2022.
Un disco registrato interamente in analogico.
Un disco lontano da ogni contaminazione del "mainstream".
Ormai, io personalmente, il bello lo trovo solo in questi "prodotti del bosco" tanto quanto nel 2023 il mio miglior ascolto è stato l'album di Jeffrey Martin THAK GOD WE LEFT THE GARDEN (pure quello registrato in un bosco) tanto in questo 2024 il mio miglior ascolto (sinora) è stato quello di questo album della Lenker.
Per mia colpa non avevo mai approfondito, prima di ora, il percorso musicale e artistico di Adrianne Lenker già band leader del gruppo indie americano BIG THIEF ma titolare, e alla grande, di una propria carriera solistica che vede uscire in questo anno di Grazia 2024 BRIGHT FUTURE un autentico capolavoro di "intimo" cantautorato folk made in USA.
Con l'aiuto di Nick Hakim al piano, Josefin Runsteen al violino, Mat Davison alle chitarre e con la produzione di Philip Weinrobe che è anche presente al piano e al banjo la Lenker mette insieme dodici piccole gemme "acustiche" che raccontano della natura, dell' amore, della riconoscenza, della lotta per la sopravvivenza, dei cambiamenti climatici, insomma, un intenso percorso nel "comune" senso della vita ma qui filtrato, e bene, da una penna che regala emozioni davvero forti.
Sin dall'iniziale REAL HOUSE la Lenker ci trasporta in ricordi di infanzia e di un passato lontano ma con quella giusta nostalgia che non sfocia in un "coccodrillismo" fine a se stesso. Sono intime riflessioni dove anche i dettagli "i rami del salice" o il "vento fresco" o ancora l'amore materno che manca contribuiscono a portarci ben dentro il "suo" presente di allora. E' tutto un intimo susseguirsi di ricordi. Una magia.
Ma è in ogni singola canzone la "Magia" di questa stupenda cantautrice.
E se in DONUT SEAM si parla della crisi climatica, si torna a tematiche valide in ogni tempo e spazio con brani in bilico tra canzoni d'amore e nostalgia come EVOL (la mia preferita) o ancora ALREADY LOST con lo splendido banjo di Weinrobe a stendere un tappeto sonoro sfavillante.
La canzone VAMPIRE EMPIRE era già stata pubblicata in passato con i BIG THIEF, ma in versione elettrica. Ora la Lenker la riprende e, spogliatala da ogni orpello, la riveste di semplice bellezza acustica, con la sua voce, la sua chitarra e un poco di aiuto dei suoi sodali. Una meraviglia.
La chiusura dell'album è affidata ad un brano che la Lenker esegue sola, piano e voce, RUINED, storia di un amore disperato e indubbiamente complicato, come complicata è la vita.
In buona sostanza, BRIGHT FUTURE non è solo un buon viatico o un buon augurio.
Prima ancora di ciò, questo album, è un insieme di riflessioni che, da personali, ognuno può poi declinare alla propria "potenza", evocando ricordi proprio legati al suo vissuto.
Sto ascoltando questo disco da un mesetto circa e questa settimana sono stato al funerale di un ragazzo della mia età, un amico con il quale abbiamo condiviso in passato tantissimi pomeriggio giocando a calcio nel nostro oratorio. Un ragazzo buono ma sfortunato, che perse la madre quando era piccolino e che è cresciuto, insomma, senza quell'amore materno che la Lenker richiama in questi versi della canzone di apertura REAL HOUSE:
"Mama, what happened? I never thought we'd go this long Now 31 and I don't feel strong And your love is all I want"
mentre riascoltavo questa canzone, dopo la tragica notizia della scomparsa del mio amico, questi versi hanno iniziato a rimbombarmi nella testa.
La Musica, per come la intendo io, è questa: una Terapia per la Vita.
Dell'immenso talento di Townes Van Zandt non si parlerà mai abbastanza.
Di questo cantautore americano, scomparso troppo presto, il primo giorno dell'anno 1996, un autentico "Poeta", ancora non si è completato quel processo di "canonizzazione" che lo deve (giustamente) portare nell'Olimpo dei più Grandi Singer - Songwriter della storia della Musica D'Autore.
Amava raccontare, Townes, della sua passione per Shakespeare e Robert Frost e così, crescendo con la bellezza cullata nell'anima e nel cuore, il nostro ha contribuito a farla splendere questa bellezza. Con i suoi testi, le sue canzoni, esercizi di pura poesia, di una vita sofferta e passata a contemplare la sofferenza dell'animo umano, fino a perdersi, dentro i meandri stessi di questo labirinto senza uscita.
In Italia il culto di questo Artista è particolarmente vivo grazie al lavoro "ventennale" dell'amico cantautore e promoter Andrea Parodi a cui va il merito essenziale di aver ripreso il cammino del promoter Carlo Carlini che proprio Townes Van Zandt portò in Italia per alcuni concerti poco prima della tragica scomparsa del cantautore.
Parodi è, da esattamente venti anni, l'organizzatore del TOWNES VAN ZANDT INTERNATIONAL FESTIVAL che ogni anno porta a Figino Serenza, qui in provincia di Como, Artisti e Spettatori da tutto il mondo per celebrare il talento del Grande Poeta e che grande eco ha sempre avuto anche dall'altra parte dell'oceano.
Sono testimone di questa grande passione e di questo grande lavoro di Andrea da quella lontana notte del 28 ottobre del 2004 allorché presso il Cine-Teatro Lux di Cantù si tenne la prima edizione di questo Festival (che mi persi in quanto, poche ore dopo la mezzanotte, all'alba del 29 ottobre nacque il "nostro" Valentino).
Da quell'ottobre 2004 sono, per l'appunto, passati 20 anni ma la passione e l'amore di Parodi per Van Zandt non sono mai venuti meno riuscendo ogni anno, sempre più, a coinvolgere Artisti e Musicisti da tutto il Mondo per questa Giusta Causa.
Ai tempi del "nostro" Tonnuto abbiamo raccolto foto ed emozionanti ricordi di diverse edizioni di questo Festival con l'aiuto prezioso del mio buon amico Faz che curava l'editing del tutto.
Lascio a memoria di quei tanti momenti questo link dell'edizione 2011 che fu presentata da Claudio Vigolo (che molti ascolteranno magari tutti i giorni su Rai RadioUno come uno degli inviati del giornale radio nazionale) e che vide tra gli ospiti internazionali, tra gli altri, Alejandro Escovedo e Eric Taylor e tra i nostri amici i sempre grandi Max Larocca, Luca Dai, Phyton Fecchio, Giulia Millanta, Paolo Pieretto oltre allo stesso Parodi :
Nello scorrere di questi Festival, di questi anni, qualche amico che veniva a testimoniare il suo amore per Townes se n'è andato, lasciando un ricordo che resterà indelebile.
Arriverà il prossimo 26 maggio, sempre a Figino Serenza, la ventesima edizione del Festival.
Correva l'anno di grazia 2011 allorquando, per la prima volta, il nome di Gerardo Pozzi comparve sulle pagine del nostro TONNUTO: era precisamente il numero 116 del mese di aprile, come ora, esattamente 13 anni fa.
A portarlo sulle nostre pagine l'amico Fabio Antonelli che scrisse la recensione di SCONOSCIUTI E IMPERFETTI prima prova discografica di Pozzi.
Con un "padrino" come Giorgio Conte e forte di una lettera di incoraggiamento a suo tempo ricevuta dal fratello di questi, Paolo, il primo disco di Gerardo Pozzi destò subito l'interesse dell'amico Antonelli autentico Intenditore di Musica d'Autore e che, sempre, devo ringraziare per aver portato tanta bellezza sulle nostre pagine e alle nostre orecchie. Ed infatti la classe ed il talento di Pozzi hanno avuto più di un riconoscimento, valga, tra tutti, la sua classificazione tra i primi quattro artisti al celebre Premio Musicultura nel 2019 con il brano BADABUM.
Nel frattempo Pozzi ha mandato alle stampe altri due album, TIGRECONTROTIGRE del 2014 e SONO UNA BRAVA PERSONA del 2018, prima di questo suo ultimo, splendido lavoro uscito ad inizio marzo.
RICORDATI DI TE è un disco che nasce da un periodo particolarmente travagliato per il cantautore di origini bergamasche ma di stanza in quel di Vittorio Veneto.
E, come tutte le cose che nascono da un periodo "travagliato", l'album è un concentrato di riflessioni che, da intime, Pozzi declina in "collettive" andando a toccare i nervi scoperti della vita quotidiana di ognuno di noi.
E' un fine pianista Pozzi. E le sue canzoni nascono per lo più così, piano e voce.
Se potessi accostarlo a qualche collega io, senza dubbio alcuno, lo metterei affianco a Locasciulli, e per la perizia con lo strumento e per quel modo di cantare che rimanda ad una "nostalgia" di tempi lontani, di figli di quelle "classi" dei primi settanta, che davvero hanno respirato un'aria ancora piena di "vitamine di vita" ... che mancano, ahimè ai tempi "analfabeti di vita" di oggi.
RICORDATI DI TE allinea dieci autentiche gemme in 30 minuti di "musica perfetta".
Sono impegnati nelle registrazioni del disco con Gerardo, impegnato alla voce, alla batteria e al piano, Paolo Piovesan al basso e chitarre, Anna Novello al coro e voci, Franco Bonato alla chitarra classica. Lo stesso Piovesan ha eseguito registrazione e mixaggio.
L'album si apre con ADDAPASSA' che è un vero e proprio "inno alla resilienza" qualità che, nella vita, ci viene richiesta in particola modo quando arriviamo al bivio con incroci pericolosi.
Nel successivo brano, SERGEJ, ho ritrovato lo stesso "spessore civico" che aveva una vecchia canzone di Francesco Baccini, COATTO MELODY che, tratta dal disco IL PIANOFORTE NON E' IL MIO FORTE ha qualcosa in "comune" con le vicende artistiche di Pozzi, ossia Giorgio Conte che, di quel disco del Baccini era il produttore. Pezzo magnifico che, al di là del pizzico di satira che accompagna il refrain, cela tutta l'amarezza per il destino degli "invisibili", degli ultimi. Pezzo Prezioso.
ANNA GOLDI rimarca, nel nome dell'ultima donna condannata al rogo per stregoneria in Europa, il triste tema dei femminicidi. Mentre la successiva CASOMAI è una canzone che rivisita "politicamente" la corta memoria della nostra "cultura-civica".
SCIABOLA, che nasce da un occasionale episodio occorso a Pozzi che, uscito per andare in bicicletta bardato con un passamontagna incontra e saluta una vicina di casa che, vedendolo così alla "diabolik" ricambia il saluto salvo scappare veloce come una ... sciabola.
Nel brano DOV'E' FINITO L'AMORE DEL MONDO la riflessione del cantautore si sposta sul sentimento più dibattuto di ogni tempo, l'amore. Perduto, mai più ritrovato, nel cercare in ogni dove men che dove andrebbe cercato per prima, cioè in se stessi. Un pezzo che sarebbe andato a genio a un amico mio di nome Leo Buscaglia.
FANGU' è quel male, fisico, mentale, reale o immaginario che ci capita tra capo e collo, tra le cattiverie del mondo, della gente, delle malelingue, di tutto ciò che è il sentimento dell'invidia. Pezzo in "agro-dolce", tale e quale a quel poco di aceto passato a Gesù in croce dal centurione romano di biblica memoria.
Nel brano ACTARUS, che si rifà nel titolo alla memoria dello storico personaggio inventato da Go Nagai, Gerardo Pozzi parte dal lontano passato, dall'amore che nel tempo c'è stato o ci è mancato, di quello semplicemente anelato. Poesia Pura.
LA VITA VA è una ballata dal bel refrain ed è un'intima riflessione sulla caducità della nostra esistenza. Bellissima con i cori a più voci che la impreziosiscono.
A portare a conclusione questo magnifico lavoro è il brano RICORDATI DI TE che è un invito ad un certo modo di concepire la vita, partendo da sé. E' anche questo uno di quei brani che, fosse vivo Leo Buscaglia, porterebbe con sé nei suoi seminari per farlo sentire ai suoi alunni.
Nell'album "fisico" vi è poi un brano aggiuntivo, con pochi preziosi secondi di reprise del brano LA VITA VA cantato dalle due figlie di Pozzi. Un autentico colpo al cuore. Stupendo.
Ma vorrei che, per capire tutto e fino in fondo il lavoro di Pozzi, fossero le sue stesse parole a raccontare questo splendido RICORDATI DI TE grazie al magnifico lavoro che ha fatto Fabio Antonelli in questa sua intervista pubblicata sul suo blog che potete leggere cliccando sul link che segue:
Essendo autoprodotto, l'album "fisico" va richiesto direttamente a Pozzi attraverso la sua pagina Facebook mentre per l'ascolto l'album è presente, tra le altre, nella piattaforma di Spotify anche se, pure per questo album , vale la mia regola aurea del "Buy don't Spotify".
Luca Di Martino, classe 1987, autore e compositore siciliano aveva sin qui mandato alle stampe due raffinati album strumentali per sola chitarra.
Lavori di splendida fattura. Ispirati e ispiranti. Lavori da puro "artigiano della musica" da autentico virtuoso dello strumento.
Tutta questa "perizia" musicale Di Martino l'ha ora riversata in NON IMPORTA LA META, che è il suo primo album da Cantautore.
Aveva dentro un "mondo intero" Di Martino e, là dove la musica, da sola, non bastava a far prendere il volo alle sue canzoni Luca ha pensato bene di mettere i suoi pensieri sopra le sue note ed il risultato è davvero un Grande Disco. Un Grande Disco.
Album che si rivela, ascolto dopo ascolto, una miniera di idee, spunti, immagini evocative. Bellezze.
Sono splendidi quei versi in siciliano che mi riportano subito al cuore due Maestri, Franco Battiato e Pippo Pollina, eminenti colleghi siciliani.
Di Martino con le sue parole, le sue note e la sua chitarra disegna in dieci canzoni trenta minuti di Musica davvero eccelsa.
Canzoni dense, come l'iniziale IL BUON ODORE DELLA TERRA contengono già il "seme" di quella grande ed ispirata penna che fa, di questo ragazzo siciliano, un degno erede della scuola dei Cantautori Siciliani dato di fatto che viene confermato già dall'ascolto del secondo brano, NON IMPORTA LA META, che è poi quello che titola l'album.
In TUTTO E NIENTE c'è quel bellissimo intercalare in dialetto siciliano "padrone di tutto / padrone di niente" che ripetuto più volte resta subito in mente, come quel "cuore che cerca sempre una ragione".
NUDA REALTA' è una delicata e riflessiva ballata che trae spunto dall'ordinarietà del nostro tempo.
Splendida è anche TORNA NATALI, un affresco sentito e nostalgico che davvero si avvolge al cuore ad ogni ascolto. Una perla autentica.
Poetici i due minuti del brano NEL CUORE DI UNA FAVOLA mentre il fischio di un treno a vapore introduce il brano IO VADO AVANTI che è un elogio alla resilienza di chi prosegue il viaggio nonostante tutto.
CU TEMPU è un altro bellissimo brano in dialetto siciliano.
La dolce RICANTAMI UNA NINNA NANNA che rievoca ricordi di un'infanzia lontana e la figura della madre ci portano alla conclusiva POCHE PAROLE che poi è una sorta di manifesto dell'ispirazione di un'artista che racconta il proprio mondo con "poche parole" ma di certo una grande passione.
Tutti i testi e le musiche sono opera di Luca Di Martino che viene coadiuvato agli arrangiamenti ed al piano dall'ottimo lavoro di Aldo Giordano.
Registrazione, mix e mastering sono sempre opera di Giordani e, detto che l'album è stato registrato presso il RECStudio di San Cataldo in provincia di Caltanissetta, non mi resta che consigliare, di cuore, questo disco a tutti i miei amici amanti della buona Musica D'Autore.
Zach Bryan, classe 1996 e di stanza in Oklahoma, per il suo debutto con la "major" Warner nel corso del 2022 mandò alle stampe questo ambizioso progetto discografico: AMERICAN HEARTBREAK.
Non un album qualunque.
Un doppio cd e triplo vinile.
34 canzoni inedite per oltre due ore di musica.
Apparentemente una "follia".
Commercialmente un vero e proprio azzardo.
Ma il ragazzo ha "stoffa", ha classe, e così, nel giro di un non nulla, questo album si fa strada nella classifiche di vendite e, alla fine, l'azzardo si tramuta in un successo per certi versi "clamoroso": il disco entra in classifica nella top five della classifica Billboard 200.
Non vi è dubbio che l'opera di questo ragazzo richieda un attento ascolto ma, a conti fatti, ne vale veramente la pena.
Le storie che Bryan mette dentro le sue canzoni sono Le storie di una vita qualunque, sono storie che derivano direttamente dalle vene dall'America di oggi giorno.
Mi sono fermato e ho riascoltato più volte alcuni brani che, sopra altri, mi hanno colpito, e cito TISHOMINGO, OKLAHOMA CITY, BILLY STAY, YOU ARE MY SUNSHINE, ma è la forte coesione di tutte le canzoni a rendere questo album davvero interessante.
Zach Bryan mette nero su bianco sensazioni che, a pelle, in prima battuta mi hanno ricordato certe canzoni storiche del "primo" Vasco Rossi ... cito per esempio LA NOSTRA RELAZIONE o CIAO. Ho trovato nelle liriche di Bryan qualcosa di molto simile a quel modo di "sentire" le cose della vita che era proprio di quel primo Vasco lì.
Annoto lo splendido incipit del brano SUN TO ME. La canzone si apre con un orario, 5:34 a.m. che non può certo passare inosservato. Il brano, ad un certo punto recita " (...) perchè ho vissuto aspettando il giorno in cui il buon Dio, volendo, ti manderà sulla mia strada" che a mia interpretazione rimanda a quel famoso versetto della Bibbia, non a caso, 5.34 del Vangelo di Marco "Gesù rispose: figlia, la tua fede ti ha salvata." ... con ciò intendendo, chiaramente, che Zach Bryan è uno di quei "cantautori" che si può, a buona ragione, intendere "Illuminato".
Nel frattempo, la scorsa estate, Bryan ha mandato alle stampe il suo secondo album per la Warner, titolato semplicemente ZACH BRYAN e che ha toccato al debutto la posizione n.1 della Billboard 200 mettendosi alle spalle, tanto per dire, la celeberrima Taylor Swift come da link allegato https://www.billboard.com/charts/billboard-200/2023-09-09/
Non ho dubbio, alcuno, che questo ragazzo abbia ancora molte cose belle da condividere con noi e da parte mia non posso fare altro che invitarvi ad andare a sentire le due ore di musica di questo AMERICAN HEARTBREAK .
Sette anni dopo lo splendente album "A PIEDI NUDI" la cantautrice toscana Silvia Conti torna con un nuovo (ed altrettanto splendente) lavoro titolato "HO UN PIANO B".
Bellissima la copertina, che rimanda allo storico "HORSES" di Patti Smith e che ritrae la cantautrice toscana in tutto il suo splendore.
Silvia Conti ha lavorato a questo disco in parallelo con il progetto di un libro di memorie scritte a mano da suo padre, Silvano Tognelli e che la stessa Silvia, insieme al marito Bob Mangione, ha digitalizzato e quindi mandato alle stampe.
Nel libro, intitolato GLI ANNI SPRECATI, si narrano i ricordi di prima mano di Silvano. Sono le sue memorie dei tragici eventi della seconda guerra mondiale: degli anni che passarono tra il 1942, quando lasciò la sua Firenze, fino al 1945, quando con la fine della guerra ritornò alla sua città natale dopo aver vissuto sulla sua pelle le crudeltà e le ingiustizie di quella tragedia mondiale.
Le righe del libro trovano una loro diretta "traslitterazione musicale" in diverse delle canzoni di "HO UN PIANO B".
Così che l'uno, il libro, diventa compendio per comprendere appieno l'altro, il disco, e seppur è vero che ognuno dei due prodotti ha una vita propria, autonoma, e a sé stante, è anche vero che la totalità dello straordinario lavoro di Silvia Conti lo si vede, chiaro, solo con la fruizione completa dei due supporti.
Ringrazio ancora una volta Silvia per avermi reso "ospite" di questo duplice capolavoro introducendomi prima al libro del padre e quindi all'album musicale.
Avendo letto "GLI ANNI SPRECATI" si gustano appieno e fino in fondo canzoni come INVERNO 1944 (Mackatica) che narra della prigionia del padre in Montenegro, ma anche di una delle canzoni più ipnotiche dell'album, L'UOMO DELLA MONTAGNA, ha un refrain che mi ha subito riportato alla mente la canzone ANDREA del Grande Faber, là dove si narrano proprio le vicende partigiane. ("ucciso sui monti di Trento / dalla mitraglia") e un che di Mario Rigoni Stern
Splendida la cover di BELLA CIAO che Silvia ha studiato, con il marito Bob Mangione, in modo tale da farne una "versione balcanica" che ben si presta a chiudere il discorso intrapreso con INVERNO 1944. E' da segnalare l'ottimo lavoro di Bob Mangione sia alle chitarre elettriche che in altre esecuzioni nello scorrere di tutte le canzoni del disco. Un valore aggiunto nella somma finale di questo capolavoro.
Il singolo che ha lanciato l'album, LUCCIOLA (che poi è anche la canzone che apre il disco) è scritta dallo stesso Bob Mangione ed è una riflessione sulla condizione odierna della donna.
La figura femminile è poi splendidamente sintetizzata da Silvia Conti nel brano FARFALLA che si apre con una chicca poetica tratta dalla raccolta "Fondamentale" di Daniel Vogelmann.
Vi è spazio poi per intime riflessioni della cantautrice toscana affidate al brano MOLTITUDINI, mentre in IL FILO D'ARGENTO (PER ENRICO) la dedica è per l'amico Enrico Greppi "Erriquez" che in tanti abbiamo amato coi suoi BANDABARDO' e che per Silvia è stato un protagonista per uno snodo cruciale nel suo percorso artistico. Splendida Canzone.
Con il brano SETTEMBRE si riflette sull'accoglienza e sulla solidarietà mentre il brano VAN GOGH è l'unica cover dell'album ed è un brano tratto dal terzo lavoro del cantautore e produttore Gianfilippo Boni dall'omonimo titolo.
E su questa canzone vale spendere alcune considerazioni. Io ho personalmente conosciuto Gianfilippo Boni (ormai più di dieci anni fa) in unico "storico" (per me) incontro all' 1 & 35 CIRCA di Cantù quando il musicista toscano era in trasferta con il nostro Max Larocca. Ho sempre avuto una venerazione per Boni, che io chiamo sempre Maestro (dato che è insita in lui una straordinaria perizia tecnico-musicale come esecutore e produttore, come cantante e cantautore) sin dai tempi del suo lavoro svolto in funzione dell'esordio discografico di Max Larocca. Ma è evidente, che Boni goda di massima stima anche da parte di Silvia Conti che, per omaggiarlo, sempre in combutta con suo marito Bob Mangione ha inserito nel suo disco, posta al termine di BELLA CIAO, una ghost track intitolata SuperPippo che è proprio dedicata a Boni che di questo album ha curato la registrazione e il mixaggio.
Questo omaggio è, a parare mio, l'esatto metro che misura la statura "umana" prima ancora che artistica di questi "ragazzi toscani", tutti, nessuno escluso.
Questo senso di gratitudine, l'uno per il lavoro dell'altro, è sintomo di una collaborazione artistica di sicuro successo (senza bisogno di alcun PIANO B) perché non basata solo ed esclusivamente su capacità e virtuosismi fini a sé stessi prestati all'opera altrui, quanto piuttosto basata su una reale unità di intenti vissuta in un'atmosfera di sincera amicizia. Davvero uno splendido omaggio. Complimenti Silvia e Bob per questa "chicca".
Doveroso anche nominare i "ragazzi della truppa toscana" che hanno contribuito tutti alla piena riuscita del disco: parlo di Marco Cantini, qui ospite ai cori, Lorenzo Forti al basso, Fabrizio Morganti alla batteria, Lele Fontana al pianoforte, hammond e rhodes, e gli altri ospiti come Francesco "Fry" Moneti al violino, Gennaro Scampato ai cembali, triangolo e wasamba, Matteo Urro alle chitarre elettriche, Francesco Cusumano alla chitarra acustica, Tiziano Mazzoni alla chitarra acustica, e quindi Cristina Banchi, Mani Naimi e Marilena Catapano ai cori.
Ultimo, ma tutt'altro che trascurabile dettaglio, (almeno per noi "vecchi" fruitori del supporto "fisico") è l'ottimo packaging che (a mia memoria) da sempre è uno dei punti di forza dell'etichetta RADICIMUSIC RECORDS. Davvero un lavoro di pregiato artigianato prodotto con carta artistica italiana, una cura per i dettagli che è un dettato di Amore. Vero.
Al tirare delle somme, in questo duplice sforzo artistico, tra libro e disco, Silvia Conti ha messo insieme gran parte del suo mondo, gran parte della sua vita, ed è stato un onore averne potuto fruire da lettore e da ascoltatore.
C'è tanta passione dentro queste due opere, e grazie ad una sensibilità, sinceramente unica e profonda che condivisa diventa "patrimonio" di tutti questa passione travolge e se, davvero, quegli anni di cui parlava Silvano sono stati sì "anni sprecati", per certo ora sappiamo che non sono passati invano.